giovedì 21 agosto 2008

Cui Jian, Allevi....e i paradossi cinesi


È un paese a regime comunista, ciononostante sta vivendo un forte sviluppo in senso capitalista.
È uno degli stati con crescita demografica più alta, nonostante le politiche governative non la incentivino e, anzi, facciano di tutto per mettervi un freno.
È il paese che in questi giorni ospita gli ultimi giochi olimpici. Eppure le releazioni tutt’altro che amichevoli con il Tibet, tanto per usare un eufemismo, la pena di morte ancora in vigore e le torture tollerate sia nei confronti di prigionieri comuni che di quelli politici ( sebbene una legge del 1996 , almeno formalmente, le vieti), farebbero rabbrividire il povero barone De Coubertin.
La Cina è veramente il luogo delle antinomie. Ed in questi giorni di tregua “olimpica “aggiunge un nuovo paradosso, al già suo nutrito palmres di contraddizioni. Merito di due musicisti, due artisti di fama internazionale, che tra loro non potrebbero essere più diversi, Cui Jian e Giovanni Allevi. Rocker il primo, anzi il rocker cinese per antonomasia, una sorta di Vasco Rossi orientale; enfant prodige della musica classicaa contemporanea il secondo. Ma cosa li accomuna o forse, meglio ancora, li allontana.?
Cui Jian è soprattutto uno di quei cantanti simbolo, un rocker contro, di protesta, le cui canzoni, che parlano soprattutto di libertà, esprimono dissenso ed ostilità nei confronti del sitema politico, ma anche il desiderio di radicale cambiamento nella realtà socio-politica cinese. Memorabile fu poi la sua partecipazione attiva alle vicende di piazza Tienammen nel 1989. Più volte infatti, e non solo cantando, incoraggiò quelle migliaia di studenti che chiedevano più libertà e meno repressione. E che ahimè furono brutalmente ridotti al silenzio dall’esercito. Per tutte queste ragioni Cui Jian è decisamente un personaggio scomodo tant’è che il governo cinese ha pensato bene di esiliarlo. Ne tollera l’esitenza certo, ma al di fuori dei patrii confini.
E proprio da qusto esilio, che rimane pur sempre una sorte migliore rispetto a quella capitata ad altri dissidenti, Cui Jian comincia a lamentare una certa stanchezza. Stanchenza principalmente perché oltre a lui, ad essere esiliata è proprio la sua stessa parola. E per un cantante non è una cosa da poco. Certo, ai suoi concerti continuano ad accorrere migliaia di persone, ed i suoi dischi funzionano bene. Ma Jian si chiede quanto dei suoi testi arrivi veramente al pubblico straniero. Il cinese purtroppo (o per fortuna) non è l’inglese, e ancorché ormai tutti sostengano e ci dicano che sarà la lingua del futuro e che prima o poi dovremmo impararla, al momento non sono ancora molti nel mondo a conoscerla bene, così bene da comprendere sino in fondo le importanti sfumature di una canzone, il cui valore non sta semplicemente nel riprodurre una melodia orecchiabile ma nell’inviare un messaggio, o meglio ancora nel comunicare un contenuto che a volte può anche essere rivoluzionario. È dunque comprensibile il senso di frustrazione che Jian ci dice di provare.
Tutt’altra storia invece per Giovanni Allevi. Pianoman, così come è stato ribattezzato dai media di mezzo mondo, si esibirà domani nella Città Proibità, accompagnato dalla China Philharmonic Orchestra, la più stimata orchestra sinfonica di tutta l’Asia. Allevi non sarà semplicemete pianista ed esecutore dei suoi brani più noti, ma si presenterà anche nelle vesti di direttore d’orchestra. E proprio in queste ore, nella Pechino olimpica, anche lui si sta “allenando” , provando e riprovando con gli orchestrali cinesi, dirigendo e comunicando con loro a ritmo di bacchetta. Naturalmente ci si chiede come facciano a capirsi, perché pur essendo Allevi, un vero “uomo rinascimentale”, che talentuoso conoscitore di musica e filosofia, non mi risulta che parli anche il cinese. Eppure intervistato dai giornalisti proprio su questa presunta difficoltà, ha risposto che «fortunatamente,ci si capisce tutti nonostante non si condivida la lingua». Quasi a dire che la musica è un linguaggio universale.
La musica però, oltre ad essre sapiente combinazione di suoni e melodie, è fatta anche di canzoni, ovverossia di parole. E la parola è umana aspira sicuramente all’universalità ma si scontra con la finitudine dell’uomo. Ascoltiamo dunque Allevi, ma non dimentichiamoci di Cui Jian.

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